Immagina di sederti al cinema, le luci si spengono, lo schermo si illumina, e improvvisamente un’onda di suoni ti avvolge, guidandoti in un viaggio emotivo. La musica, in questi momenti, non è solo un sottofondo, ma diventa un personaggio invisibile che sussurra storie al tuo orecchio. Fin dai tempi del cinema muto, dove una pianola dal vivo accompagnava le immagini in movimento, la musica ha svolto un ruolo cruciale nella narrazione cinematografica. Tuttavia, limitarsi a pensare alla musica nel cinema come ad una semplice colonna sonora significa non coglierne appieno il potenziale narrativo.

La musica come personaggio

In alcuni film, la musica si trasforma in un personaggio vero e proprio, tanto che senza di essa la storia sembrerebbe vuota. Prendiamo Il Laureato (1967) di Mike Nichols, per esempio. Qui, le canzoni di Simon & Garfunkel non si limitano a seguire il viaggio del giovane Benjamin Braddock; piuttosto, lo definiscono. La malinconica The Sound of Silence, che risuona nei momenti più riflessivi del film, fa molto di più che sottolineare il suo isolamento: dà voce alla sua ribellione silenziosa contro il mondo degli adulti. È una canzone che, con le sue note delicate, riesce a esprimere ciò che Benjamin non riesce a dire.

E che dire di Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino? Le canzoni di Sufjan Stevens, come Mystery of LoveVisions of Gideon, non sono semplici accompagnamenti sonori, sono il battito cardiaco delle emozioni intense e spesso inesprimibili tra Elio e Oliver. In una scena in particolare, quando Elio guarda Oliver allontanarsi, le note di Visions of Gideon lo avvolgono come una nebbia, riflettendo la dolcezza e il dolore del loro addio.

Diegetica e non-diegetica: quando la musica è vista e invisibile

Esiste una distinzione fondamentale nella musica cinematografica: la musica diegetica, che i personaggi possono sentire, e quella non-diegetica, udibile solo dallo spettatore. Quentin Tarantino è celebre per l’uso creativo della musica diegetica nei suoi film. In Pulp Fiction (1994), la scelta di You Never Can Tell di Chuck Berry per la scena del ballo tra Mia Wallace e Vincent Vega non è casuale. Non solo evoca l’era del rock ‘n’ roll, ma crea un contrasto ironico tra la leggerezza della musica e la tensione sottile tra i due personaggi. Questa scelta dà vita a una scena che è tanto divertente quanto carica di suspense.

D’altro canto, la musica non-diegetica può diventare il cuore pulsante di un film, amplificando le emozioni senza che i personaggi se ne rendano conto. In Psycho (1960) di Alfred Hitchcock, Bernard Herrmann utilizzò solo strumenti a corda per la colonna sonora, creando un effetto tagliente e inquietante. Nella famosa scena della doccia, le sue stridenti note di violino, oltre ad accompagnare l’atto violento, sembrano quasi essere il coltello stesso che colpisce, rendendo l’orrore ancora più intenso.

Curiosità e aneddoti: storie dietro le note

Non tutti sanno che Stanley Kubrick, per il suo capolavoro 2001: Odissea nello spazio (1968), inizialmente aveva commissionato una colonna sonora originale al compositore Alex North. Tuttavia, Kubrick decise in seguito di abbandonare completamente la partitura e di utilizzare invece brani di musica classica, come Così parlò Zarathustra di Richard Strauss. La grandiosità di questa musica accompagna la visione di Kubrick dello spazio come un luogo di mistero e meraviglia, trasformando il viaggio cosmico in un’esperienza quasi religiosa.

Un altro esempio interessante riguarda Inception (2010) di Christopher Nolan. La colonna sonora di Hans Zimmer, con il suo mix di orchestrazione e suoni elettronici, ha un ruolo fondamentale nel guidare la tensione narrativa del film. Ma c’è un dettaglio curioso che molti spettatori potrebbero non aver notato: il brano Non, je ne regrette rien di Édith Piaf, utilizzato per segnare l’inizio del risveglio dai sogni, viene rallentato e distorto a seconda del livello del sogno. Questo effetto, al di là del rendere l’atmosfera più surreale, visualizza in modo intuitivo il concetto di tempo che si allunga nei sogni; un tocco di genio che aggiunge profondità alla narrazione.

La musica come narrazione

Oltre a definire l’atmosfera, la musica può essere una potente narratrice. Sergio Leone e il compositore Ennio Morricone sono un duo leggendario in questo senso. Nei loro spaghetti western, come Il buono, il brutto, il cattivo (1966), la musica di Morricone non accompagna semplicemente le immagini, ne è l’anima. La scena finale del triello, dove i tre protagonisti si sfidano in uno scontro mortale, è un perfetto esempio di come la musica possa sostituirsi ai dialoghi, comunicando emozioni e tensione attraverso ogni nota.
Ma il collegamento tra le partiture di Morricone e le scene del film ha radici molto più profonde di quanto si potrebbe inizialmente pensare.
Molte delle musiche, infatti, furono composte in precedenza alla realizzazione delle riprese e, per volere dello stesso Leone, vennero poi riprodotte sul set durante queste ultime.
Una mossa estremamente all’avanguardia per l’epoca, che ha permesso al regista di comunicare in modo più efficace agli attori le emozioni e le tensioni che avrebbero dovuto riportare in scena, guidando quindi Clint Eastwood nei suoi movimenti e facendogli percepire in prima persona tutto il pathos e l’intensità che ancora oggi trasmettono quei suoi sguardi entrati per sempre nella storia del cinema.

Un altro esempio iconico è Il padrino (1972) di Francis Ford Coppola, dove la musica di Nino Rota non si limita ad accompagnare la storia della famiglia Corleone, ma ne diventa la voce. Il tema principale, con la sua melodia solenne, riflette la tragedia e la maestosità del potere che domina la vita dei protagonisti. Il legame con le radici siciliane della famiglia è suggellato dall’uso di strumenti tradizionali italiani, come la mandola, che riaffermano l’identità culturale che permea la saga.

La musica nel cinema non è mai solo un sottofondo. È un elemento vivo e pulsante che può elevare una scena da buona a indimenticabile, che può raccontare storie senza bisogno di parole, che può farci sentire la pelle d’oca in momenti di pura emozione. Ogni nota, ogni accordo scelto con cura, aggiunge strati di significato al racconto cinematografico, dimostrando che la musica, quando usata sapientemente, non accompagna soltanto il film: lo trasforma.

Arianna Cannella