Questo weekend, dal 22 al 23 marzo, si svolgerà a Milano, presso PARCO, la mostra “Pictures of You”, con l’esposizione di fotografie realizzate da Henry Ruggeri, fotografo ufficiale di Virgin Radio e celebre fotografo “live” della scena musicale italiana. Tali fotografie saranno accompagnate dai contributi video di Massimo Cotto, storico narratore di musica di Virgin Radio, indimenticabile giornalista e scrittore.

In occasione di questa mostra, abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Henry Ruggeri.

EP: Come è nata la mostra “Pictures of You” e che valore ha per te?

HR: Allora, la mostra è nata da un’idea di Massimo Cotto di tantissimi anni fa, quando condividevamo il palco degli AC/DC. Lui stava per fare il DJ set davanti a 100.000 persone, si gira verso di me e mi dice “Henry, io e te dobbiamo fare qualcosa perché a me le tue foto piacciono un sacco”. E io dico: “Massimo, tu devi parlare davanti a 100.000 e adesso stai a pensare alle mie foto. Non mi sembra il caso… Concentrati.” Però quella frase mi è rimasta e, a fine DJ set, gli ho detto: “Dato che tu sei uno dei miei idoli, verrò da te il giorno in cui avrò un progetto davvero interessante”. E ci ho messo praticamente nove anni perché poi alla fine del 2023 una sera l’ho chiamato e gli ho detto: “Massimo, vengo a casa tua”. Considera che io vivo nelle Marche e lui viveva ad Asti. “Vengo domani a pranzo a casa tua!”. E lui mi ha detto che mi avrebbe aspettato. Non mi ha nemmeno chiesto il motivo. Quando poi sono arrivato là, gli ho raccontato quello che era il mio progetto. Ho detto: “Massimo, guarda, secondo me dopo settantaquattro libri che hai scritto è ora che ti metti in mostra e ti aiuterò io a farlo tramite le mie foto. Voglio che tu sia il primo giornalista che fa una mostra”. L’idea lo ha fatto impazzire e abbiamo iniziato questo progetto che ci abbiamo messo più di un anno a sviluppare. Perché l’applicazione è di nostra proprietà e l’abbiamo sviluppata da zero (n.d.r. l’app si chiama Notaway).

EP: Ah. Non sapevo che fosse proprio stata sviluppata da voi…

HR: Sì, sì. Guarda, gli sviluppatori, cioè l’agenzia tecnologica dove sono andato, mi hanno detto che era un’idea talmente banale (perché comunque io non ho inventato niente, ma sto approfittando di quello che esiste ormai da un po’…realtà aumentata, intelligenza artificiale ecc.) che nessuno ci aveva ancora pensato. Dunque sono stati felici di creare questa applicazione da zero. E da oggi in poi questa sarà a disposizione per chiunque vorrà utilizzarla (musei, altre tipologie di mostre ecc.).

EP: Certo. L’idea di una mostra interattiva che appunto dia voce alle immagini è molto interessante. Mi hai parlato ovviamente di Massimo. Immagino che foste legati da un rapporto di amicizia. C’è qualcosa di lui che in particolare vorresti potesse trasparire da questa mostra?

HR: Io e Massimo ci siamo conosciuti fisicamente nel momento in cui lui è entrato a far parte della radio (n.d.r.Virgin Radio). Io ero già lì come collaboratore esterno e poi ai concerti d’estate ci vedevamo spessissimo. Facevamo almeno una quindicina di concerti insieme ogni estate. Se serviva, io organizzavo delle cose in cui lui era il presentatore o il direttore artistico ecc. Nei nostri tredici anni di amicizia abbiamo fatto tante cose insieme, ma nell’ultimo anno, quando è partito questo progetto, ci sentivamo davvero spesso. Qualsiasi persona che verrà alla mostra, percepirà la grandezza di Massimo tramite il suo storytelling perché lui aveva questo modo di raccontare che rimane dentro. Era un incantatore di serpenti e lo faceva tramite i suoi aneddoti. Tornando all’applicazione… non è un QR code. Basta tenere semplicemente acceso il telefono e aperta l’applicazione e si può girare per la mostra mentre le foto si agganciano automaticamente al telefono e dunque… vedere per credere.

EP: Innanzitutto, grazie per queste parole. Entro un po’ più nel dettaglio delle foto da te realizzate. Ci sono delle foto che hai nel cuore o una nello specifico alla quale ti senti particolarmente legato e perché?

HR: A questa domanda, che mi fanno spesso, rispondo con due diverse risposte. La prima è che io ho iniziato a fare questo lavoro come fotoamatore tantissimi anni fa, non per fare il fotografo ma per conoscere la mia band del cuore che erano i Ramones. E allora mi sono finto fotografo e li ho conosciuti. Mi sono presentato in una location con due borse da fotografo praticamente vuote, dicendo che non potevo seguire il concerto del giorno dopo e chiedendo se potevo seguire il concerto del giorno stesso. Mi hanno fatto entrare e ho conosciuto i Ramones al primo colpo. Io ero rimasto pietrificato. Poi nella location ho trovato il fanclub dei Ramones, che erano ragazzi italiani. All’epoca si facevano le fanzines che erano queste riviste fatte da fan con le fotocopie punk di una volta e dunque non c’era bisogno di grande qualità delle foto. Io avevo con me una macchina usa e getta e una macchinetta comprata qualche giorno prima dalle bancarelle russe, giusto per portare a casa qualche ricordo. Eppure quelle foto lì le ho date a loro che le hanno fotocopiate, con quella che era la loro qualità, e le hanno utilizzate. Lì è nata l’amicizia con loro. Io ho detto: “Ok voi andate in giro per l’Europa con i Ramones, io sono da oggi il vostro fotografo in cambio dei pass”. E ho fatto più di quaranta date con loro. Poi sono diventato molto amico. Tanto è vero che con Marky Ramone, l’unico sopravvissuto, ci sentiamo ancora adesso su WhatsApp molto spesso, quasi tutti i giorni. Poi da lì non ho più smesso. Ovviamente, dal giorno dopo ho iniziato a studiare perché non era il caso di andare avanti senza avere una preparazione. L’altra risposta invece è Depeche Mode perché, collegandosi al fatto che io ero un gran fan dei Ramones, perciò ascoltavo da piccolo il punk rock ma anche l’hard rock, l’heavy metal ecc. dunque musica abbastanza “scatenata”, i Depeche Mode erano il gruppo elettronico pop per eccellenza. E dunque era il nemico. Lo vedevo come il nemico da bambino. Fino a quando nel 2006 o 2007, non ricordo, li ho visti per caso dal vivo e lì sono rimasto folgorato per la loro bravura. Ho iniziato a fotografarli. Li ho fotografati tantissime volte e poi sottopalco (anche se noi stiamo solo i primi tre brani) c’è proprio una simbiosi tra me e Dave Gahan nel senso che io percepisco i suoi movimenti e le sue espressioni e spesso faccio foto belle dei Depeche Mode e sono forse diventati il mio gruppo preferito da fotografare. Cosa che non accade con tanti altri gruppi. Ad esempio, i Muse li ho fotografati tante volte, ma se io sto a destra del palco Matt (il cantante) sta sicuramente dall’altra parte. Se io vado dall’altra parte, Matt va dalla parte opposta. Tante volte quindi non scatta questa simbiosi con l’artista.

EP: Immagino che questo aspetto del tuo lavoro sia davvero molto affascinante; proprio il legame che si crea con chi viene fotografato. Ne approfitto anche per farti l’ultima domanda. Quale messaggio, quale sensazione speri che ogni visitatore possa portare con sé dopo aver assistito alla mostra?

HR: Io sono stato particolarmente attento alla produzione delle opere. Dunque troveranno intanto opere stampate in un’altissima qualità. E oltre a questo, ovviamente ho anche la responsabilità di portare avanti il ricordo di Massimo, che era il mio socio nel progetto. Quello che davvero vorrei è che i visitatori potessero portare a casa sicuramente un bel ricordo dell’esperienza. Ma soprattutto anche un buon ricordo di Massimo.

EP: Grazie davvero per le tue risposte.

HR: Grazie a voi.

Eleonora Pertegato